domenica 1 gennaio 2006

Lake Garda Marathon 2013, di Ermete Pastorio

Ho, col lago di Garda, un rapporto speciale, quasi da vecchi amici, con molte cose in comune, segreti, sudore e ricordi. Io sono nato a Montichiari e, sul Garda, ci andavo con i miei genitori, in Lambretta. Il lago l’ho girato completamente in kayak per ben due volte, 2012 e 2013: manifestazione sportiva entusiasmante, bellissima compagnia di naviganti, straordinario rapporto di amicizia nato sull’acqua con persone eccezionali, sia italiani sia stranieri. Potevo resistere alla sfida di correre una maratona autunnale sul Garda? Mi sono iscritto senza pensarci due volte. Avevo corso in primavera la mia prima maratona nell’affascinante e magica Praga. Sapevo che cosa mi aspettava dunque, ma la filosofia dell’appassionato è sempre e solo la stessa: pensare al divertimento e al piacere di correre, cercando … di arrivare al traguardo finale. Con la mia famiglia abbiamo approfittato della maratona sul Garda per fare una piccola vacanza. Siamo partiti di sabato in camper, ma poiché dovevamo passare per Montichiari (visita parenti e cimitero), abbiamo tardato e siamo arrivati a Malcesine per ritirare il pettorale alle diciannove in punto. L’ufficio chiudeva alle diciannove. Ho parcheggiato il camper in divieto con le frecce accese, mi sono precipitato per i viottoli ciottolosi di Malcesine correndo, con le scarpe nuove che avevo scelto per la maratona e mentre correvo, chiedevo informazioni ai passanti per arrivare al municipio. Al primo piano del municipio consegnavano i pettorali ed io ci sono arrivato alle 19,15, saltando gli scalini a due a due e dribblando un cavalletto con scritto: “Chiuso”. Sono riuscito ugualmente a farmi consegnare il pettorale da una ragazza che mi ha detto: “Anch’io sono veneta”. Fortunatamente avevo parlato in dialetto senza rendermene conto. Un segno del destino? I pettorali, a onor del vero, si possono ritirare anche la domenica mattina ma, diciamo la verità, il “numero” e la maglia sono come un “giocattolo” nuovo, chi può resistere?
Abbiamo poi raggiunto Torbole, con calma, godendoci il tramonto sul lago mentre le luci di Limone iniziavano a far brillare la sponda ovest, tremolando sulle onde. Ho parcheggiato il camper sulla riva del lago proprio a Torbole, paese di arrivo della maratona, pochi metri distante dalla fermata della motonave che, il giorno dopo, domenica, avrebbe portato i corridori alla partenza di Malcesine.
Cena sul camper in riva al lago. Alle 6,40 di una domenica fredda e uggiosa, nel buio, sono salito sulla motonave, assieme ad altre figure silenziose in tuta da ginnastica e ho fatto amicizia con tre italiani che raccontavano le loro esperienze nelle maratone. Eravamo tutti un po’ intorpiditi dal freddo e dal sonno. Dopo una mezzoretta di navigazione siamo scesi a Malcesine, silenziosi come zombi, nel buio surreale di una mattina d’ottobre umida, mentre la foschia ovattava il rumore delle onde e dissolveva il chiarore dei lampioni.
La nostra colonna di uomini e donne in tuta da ginnastica, ha improvvisamente animato le stradine dormienti di Malcesine, aumentando il chiacchiericcio, via via che ci si avvicinava al municipio dove era stata collocata la partenza della maratona.

Mi sono preparato con calma e ho consegnato il sacco con gli indumenti di ricambio ai camion che avrebbero portato tutto all’arrivo.  L’attesa è stata davvero lunga, sia per la noia sia per il freddo. Per combattere la bassa temperatura ho indossato l’abbigliamento tipico che si usa in questi casi: un sacco dell’immondizia. Alcuni corridori indossavano le tute bianche usa e getta, di quelle che si utilizzano per imbiancare. Ho osservato la folla perché è divertente e curioso vedere quello che fanno le persone: uomini con i capelli bianchi arzilli e pronti a partire, giovani e “calorose” ragazzotte in canotta nonostante il freddo, atleti che facevano riscaldamento, altri che chiacchieravano come fossimo al mercato, qualcuno scattava foto e qualcun altro faceva la coda al bagno. I pettorali erano di tre colori perché tre erano i percorsi: Km quindici, trenta e la maratona classica di 42,195. La partenza era indirizzata verso sud ma i corridori dei 15 km, che sono partiti 10 minuti prima degli altri, hanno girato quasi subito verso nord in direzione dell’arrivo a Torbole. Noi iscritti alla maratona siamo partiti assieme alla 30 km. Sono partito col sacco dell’immondizia addosso e aspettavo di scaldarmi percorrendo qualche chilometro prima di togliermelo. La partenza è stata lenta a causa della ressa e della stradina stretta. Subito in leggera salita per alcuni chilometri, ho sentito la differenza quando finalmente abbiamo raggiunto il piano. Ho iniziato subito a correre ma dopo alcuni chilometri mi sono accorto che stavo correndo troppo veloce per una maratona e quindi ho adeguato la velocità in modo da seguire chi andava più veloce di me, raccogliere le forze e approfittarne per superare alla prima occasione. I primi 7/8 km sono scivolati via su strada asfaltata verso sud poi, correndo sulla ciclabile in riva al lago, abbiamo girato e siamo risaliti a nord in direzione Torbole e Riva. Il cambio di direzione mi ha fatto trovare il vento freddo che scendeva da nord giusto in faccia. Avevo già tolto la protezione del nailon e quindi sentivo freddo nonostante la fatica. La ciclabile unisce le varie spiagge ghiaiose del lago, alcuni tratti sono su ghiaia battuta, altri su selciato e altri su asfalto, con piccoli saliscendi di quando in quando.  Abbiamo anche fatto il giro di un porticciolo salendo su un ponte e passando vicino alle abitazioni antiche con archi e giardinetti da cartolina. Siamo poi risaliti sulla gardesana e abbiamo iniziato a vedere la sponda di Riva, in lontananza davanti a noi, che faceva capolino tra le curve della strada. I ristori erano piazzati ogni 5 km circa ma io non mi fermavo, rallentavo giusto quanto mi serviva per raccogliere al volo l’acqua e poi via. Il freddo continuava a tormentarmi ma mi ero rassegnato. Il cielo era carico di nubi e la strada bagnata mentre il lago scuro alla nostra sinistra era mosso da onde con schiuma bianca che si divertivano a giocare col vento. Abbiamo raggiunto le lunghe gallerie prima di Torbole e, al riparo dal vento, finalmente la temperatura si è alzata di qualche grado. All’interno delle gallerie, alcuni corridori si divertivano a lanciare urla per fare rimbombare il suono tra le pareti. Questo divertente gioco mi ha rilassato ed ho iniziato ad accettare la maratona per quello che sostanzialmente dovrebbe essere: un momento di sport sano, aggregazione e divertimento puri, prova fisica e gara con me stesso. Ho quindi iniziato a giocare a mia volta con le persone che incontravo lanciando battute e invitandoli a seguirci. Quando il fiato me lo permetteva, conversavo con gli altri corridori senza perdere l’occasione di superare qualcuno. Su questo tratto di strada monotono mi è passato a destra un corridore del Sudafrica, grande e grosso, che correva sbuffando come una vecchia locomotiva. Avevo alla mia sinistra alcuni italiani e gli ho urlato: "Dai andiamogli dietro che questo corre”. Mi sono buttato all’inseguimento a breve distanza e un italiano mi ha seguito dicendo: “Posso seguirti?”. Mi sono messo a ridere e ci siamo piazzati alle spalle della locomotiva facendo il trenino. Altri italiani hanno provato a salire sul convoglio ma non ci sono riusciti. Poi mi sono arreso perché il treno correva troppo, ho visto quello che mi seguiva arrendersi come me e l’ho squadrato bene, sembrava che corressimo alla stessa velocità. Nemmeno ci conoscessimo, è iniziato tra noi un tiramolla che, un chilometro dopo l'altro, ci ha fatto superare Torbole e il bivio dei 30 km. Oramai mancavano 12 km ed io credevo di aver perso il mio compagno di treno, pensavo che si fosse fermato ai trenta. Mi ero sbagliato. Alla curva di Riva mi ha fregato superandomi all’interno. La sfida era dunque lanciata. Mi ero reso conto di essere più veloce di lui in salita e quindi mi sono piazzato alle sue spalle aspettando l’occasione giusta. Gli ultimi chilometri, abbiamo giocato di nuovo superandoci su tratti rettilinei, curve, salite e discese quando finalmente, all’ultimo chilometro, è arrivata l’occasione che aspettavo: un sottopasso con una bella discesa e relativa salita. Sono partito consumando le ultime energie e l’ho perso, poi ho commesso l’errore di crederci e quindi devo aver rallentato quanto basta per farmi superare di nuovo a 100 metri dall’arrivo mentre mia figlia mi scattava una foto. Il mio sfidante mi ha urlato: “Non arrenderti adesso”. Non ci pensavo nemmeno e, infatti, ho volato gli ultimi metri e, saltandogli di fianco gli ho urlato: “Assieme dai”. Così abbiamo passato la linea d’arrivo, assieme e con le braccia alzate mentre la gente applaudiva per il gesto. Poi ci siamo dati la mano nel momento in cui l’altoparlante diceva una cosa che subito non ho capito: 3.46,42. Tre quarantasei e quarantadue di cosa? Bo? Sono dovuto arrivare al ristoro e poi alle docce per rendermene conto. Un tempo incredibile per me, semplice appassionato e senza velleità alcuna. A Praga avevo chiuso a 4,10. Il lago di Garda mi aveva di nuovo regalato una giornata straordinaria, da ricordare e raccontare 1000 volte agli amici, fino a sfinirli. Alla prossima, a Dio piacendo.

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