lunedì 1 gennaio 2007

La decima!, di Ermete Pastorio

Pisa Marathon 2014.

Sono arrivato a Pisa con un solo obiettivo: finire la maratona, non importava con quale risultato. Volevo chiudere la stagione per rimettere in ordine le idee, lasciare spazio ad altri obiettivi e, in previsione futura, togliere spazio alla corsa per riprendere in mano la pagaia.
Le ultime corse mi avevano un po’ demotivato, le gambe non giravano come volevo ed io non riuscivo a trovare il mio equilibrio. Una maratona quindi, la decima dell’anno, per chiudere in bellezza, mi sembrava una buona idea.
La notte l’ho passata dormendo male, il raffreddore che mi tormenta da settimane era peggiorato e la mattina ho calcolato male i tempi per arrivare nelle griglie di partenza. Sono giunto nella zona start a soli cinque minuti dal via. Nemmeno il tempo di un breve riscaldamento, nemmeno il tempo di stirare i muscoli, e sono riuscito a intrufolarmi tra i corridori pronti la via spostando una transenna. Avevo ancora in mano le cose che ci si porta di solito, barrette ecc. quando ho sentito lo sparo e ... bo? Partiti!
Via dunque, sistemandomi in corsa le cose. Avevo scelto di correre in costume da bagno, maglia, canotta e bracciali. La corsa è partita veloce con i corridori che gareggiavano per la 21 a fare la velocità. Io subito ho iniziato a farmi sorpassare da tutti, ho avuto la sensazione che, ancora una volta, avrei sofferto la corsa senza entusiasmo. Mi sono rassegnato e mi sono costruito la mia andatura indifferente da quello che mi circondava. Dopo una decina di km, al bivio della 21, un trevisano di Roncade ha riconosciuto la maglia degli Oll Scars e abbiamo scambiato poche parole. Io mi sono lamentato del fatto che non ero "in giornata" e che faticavo a tenere il ritmo. Io corro senza GPS e quindi non avevo idea dei tempi. Davanti a me dei palloncini verdi che credevo, essere quelli delle 3h30’ e, dietro di me, dei palloncini azzurri che credevo, essere quelli delle 4 ore. Mi ero intestardito e correre e non volevo farmi raggiungere dai palloncini azzurri. Sentendo la mia delusione, il trevisano ha guardato il suo GPS e mi ha detto: “No, no, se andiamo così, chiudiamo in 3h30’.
Attimo di stordimento e poi il trevisano si è messo davanti a me a, una ventina di metri. Io dietro, non riuscivo a raggiungerlo ma nemmeno lui riusciva a scapparmi.
Mentre correvo, cercavo di riordinare le idee e capire bene il da farsi. Le nuvole, di tanto in tanto, coprivano il sole e, di conseguenza, io alzavo o abbassavo i manicotti a seconda del freddo. Poi una fredda pineta e poi il Lido. Il mare non si vedeva ma si capiva che era vicino, oltre le siepi e oltre gli alberi.
Il nostro percorso di gara è entrato in una strada per un giro di boa con la lettura dei tempi sulla mezza, quindi, andando, ho visto che sull’altra corsia, tornavano i palloncini verdi che stavano davanti a me, e ho letto 3h15’. Ho fatto il giro della boa e al ritorno ho finalmente letto il tempo segnato sui palloncini che stavano, almeno, un paio di minuti dietro di me: 3h30’. Non avevo più dubbi. Sapevo che alla fine mi avrebbero raggiunto, quindi dovevo solo portarmi il più avanti possibile e guadagnare chilometri in modo da farmi raggiungere, almeno, oltre il 30° km. Il mare che ora si vedeva alla nostra sinistra, era freddo e grigio nonostante il sole. Abbiamo girato a destra per imboccare la strada del ritorno a Pisa e un vento, freddo, mi ha investito. Sentivo il vociare del gruppone delle 3h30’ dietro di me che si avvicinava, ma non volevo mollare. Ho anche saltato un ristoro per non perdere tempo. Poi al 35° mi hanno raggiunto ma oramai era fatta. Nel gruppone, il trevisano che, molto furbescamente, aveva rallentato per mettersi al riparo del vento all’interno del gruppo, m’incitava a non mollare. Io ho cercato di rimanere al loro passo ma la benzina stava finendo e ho preferito rallentare un pochino ma con la sicurezza di arrivare alla fine correndo.
Ho corso gli ultimi chilometri facendo calcoli mentali per capire di quanto potevano avermi superato e poi, la città è arrivata all’improvviso. Ultimo ristoro, un sottopasso, la torre di Pisa che svettava tra i palazzi e gli alberi, la foto alla tabella dei 41, le ultime curve e finalmente la piazza dei Miracoli. Mi sono avventato sulla linea del traguardo con un brutto ghigno (di sorridere non se ne parlava nemmeno) e quando ho visto il tabellone … 3h36’ ho urlato: “Grazie Pisa”. Poi basta, un’overdose di emozioni, gli occhi lucidi e nessuna voglia di parlare. Certo, come disse il buon Manzoni “del senno di poi ne son piene le fosse”, riconosco di avere commesso alcuni errori ma questo straordinario risultato mi da un forte stimolo a continuare e a perfezionare le strategie. Avanti dunque, a quando la prossima?

Pisa (15)

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